Quando si vivono emozioni forti è difficile descriverle e, ancor di più, sintetizzarle in poche righe. È un po’ come il buon vino: per far venir fuori gli aromi e i profumi che lo rendono speciale, occorre farlo decantare con i dovuti modi e tempi.

A noi è accaduta la stessa cosa. Abbiamo dovuto metabolizzare quanto di bello ci è successo, smaltire quella piacevole ubriacatura dell’anima che ci ha provocato la vittoria del Gran Premio al Concorso Polifonico Nazionale di Arezzo, grazie alla quale ad agosto parteciperemo di diritto all’edizione internazionale. Ci scuserete, quindi, se ci siamo presi un po’ di tempo per far assestare nella memoria sensazioni che nessuno di noi potrà dimenticare.

Non vogliamo però farvi la cronaca di quella giornata, seppur straordinaria, ma rendervi partecipi di come siamo arrivati a quel 6 novembre, svelarvi qual è stato l’asso nella manica che ci ha permesso di vincere una partita così importante. Si potrebbe facilmente intuire: studio, applicazione, costanza, lavoro meticoloso su ogni singolo brano insieme al nostro direttore Fabrizio Barchi.

Tutto giusto, ma non poteva bastare solo questo.

È stato qualcosa di più profondo che, magicamente, ha legato l’uno all’altra ben prima di esibirci sul palco di Arezzo. Qualcosa di speciale si era già nettamente percepito in Ungheria lo scorso agosto. L’esperienza magiara ci ha messo alla prova e ci ha resi più consapevoli delle nostre capacità artistiche. Il nostro spirito di gruppo ne è uscito più forte e il grande affiatamento che si è creato ci ha permesso di affrontare palcoscenici internazionali con serenità e tanto entusiasmo.

Ancor di più, il pensiero torna al ritiro che abbiamo scelto di fare prima del concorso per potenziare la nostra preparazione vocale, fisica e mentale. Nel tempo trascorso insieme ciascuno di noi – a cuore aperto – ha condiviso con gli altri le proprie sensazioni legate all’esperienza di vita corale, più o meno di lunga data: abbiamo riflettuto, rivissuto momenti memorabili del passato, abbiamo sorriso ma ci siamo anche commossi, comprendendo quanto questa attività costituisca una parte rilevante delle nostre vite più di quanto potessimo mai immaginare.

Lì è scattata la scintilla: dopo questo momento così intimo si è scatenato uno spontaneo tsunami di abbracci che ci ha travolto. Ognuno, dal più estroverso al più riservato, ha sentito il bisogno di avvicinarsi all’altro per trasferirgli fisicamente il suo affetto e le sue emozioni. Ci siamo sussurrati all’orecchio parole di stima, di rassicurazione, di carica. Quell’abbraccio collettivo, capace quasi di fermare il tempo intorno a noi, è stata la nostra vera forza: in quegli istanti, tutti abbiamo capito che ad Arezzo qualcosa di fantastico sarebbe successo.

Qualche settimana dopo, la magia si è compiuta per davvero. Tutto era cominciato con un abbraccio e nello stesso modo tutto si è concluso, a chiusura di un cerchio disegnato dal destino. Non a caso la nostra prima reazione dopo l’annuncio della vittoria del Gran Premio è stata proprio stringerci, colmi di gioia e di felicità per aver raggiunto tutti insieme un traguardo storico. In quel momento ci siamo riappropriati definitivamente di quello che la pandemia ci ha tolto: il piacere di vivere un momento di unità totale, vocale e fisica, senza le terribili barriere della lontananza forzata e del distanziamento che, inevitabilmente, hanno interrotto il processo di coesione di un gruppo che si stava pian piano amalgamando.

Oggi, ad un mese di distanza e a mente più fredda, ci rendiamo conto che la conquista del Gran Premio in sé forse sia davvero l’aspetto che conta meno: il trofeo più prestigioso guadagnato in Toscana è stata, senza dubbio, la certezza di essere una vera squadra, responsabile nei confronti del nome che porta e dei colori che indossa, matura per tutte le sfide che l’aspettano e con le quali non vede l’ora di misurarsi, con ancor più passione.

Articolo redatto da Francesco La Rosa
Foto Silvia Cingano – Fondazione Guido D’Arezzo