Il 2019 per lui è da incorniciare. 40 anni di direzione corale, 20 anni dalla nascita della sua creatura musicale, l’Associazione Musicanova, la recente vittoria con il Coro Eos al Concorso “Antonio Guanti” di Matera e il premio come miglior direttore. Fabrizio Barchi, il nostro affezionato direttore, si racconta per condividere insieme a noi le emozioni di una vita dedicata alla musica e alla diffusione della coralità tra i giovani. E anche qualche curiosità da svelarci… 

Quando hai capito che il mondo corale sarebbe stato la tua vita?

Tutto è nato insieme ad alcuni amici in parrocchia. Insieme cercavamo di fare dei controcanti ai brani che eseguivamo durante le messe, provando ad aggiungere le seconde e le terze voci. E ci divertivamo molto! Da quel momento in poi ho cominciato ad avvicinarmi e a interessarmi alla polifonia.

Qual è l’insegnamento più importante che hai ricevuto dai tuoi maestri?

Da loro ho capito quanto sia fondamentale l’ascolto reciproco, tra ogni settore, quando si lavora insieme. E, soprattutto, il valore del gioco di squadra che in un coro è un elemento cruciale.

Cosa ricordi del tuo primissimo concerto da direttore?

Era il 7 aprile 1979. Con il mio primo coro, la Corale San Filippo, ci esibimmo nella meravigliosa Sala Borromini, a Roma. Un luogo magico, a cui sono molto legato.

Qual è il posto più affascinante dove hai tenuto un concerto?

Potrei elencarne moltissimi! Un ricordo indelebile nella mia memoria risale al 2000 quando, all’aperto, diressi a Tor Vergata il coro del Giubileo, davanti a 2,5 milioni di ragazzi. Quella è stata un’esperienza che porterò sempre dentro di me.

Nel corso della tua carriera, hai raggiunto molti traguardi prestigiosi: quando hai cominciato avevi le idee chiare o non immaginavi dove saresti arrivato professionalmente?

In realtà non avevo un’idea definita di quello che sarebbe stato il mio percorso. Quando ho cominciato a dirigere, tra i 20 e i 21 anni, avevo però dei precisi modelli di riferimento: mi attraeva molto il tipo di lavoro che svolgevano alcuni cori inglesi o del Nord Europa. E, insieme alla Corale San Filippo, abbiamo cercato di seguire il loro esempio.

Nel 1999 nasce l’Associazione Musicanova. Perché questa idea e come mai hai scelto questo nome?

Il mio intento era far conoscere ai ragazzi la realtà corale, un mondo bellissimo di cui potevano sentirsi protagonisti e in cui avere uno spazio importante. Per farlo, l’idea era puntare molto sulla musica del nostro tempo, la “Musica Nova”, appunto. Da qui deriva la scelta del nome.

Proviamo un po’ a “leggere il futuro”. Cosa vedi nel domani della nostra Associazione?

A 62 anni non è facile fare tanti progetti, ma vorrei continuare a fare tanta bella musica. Nella mia biblioteca ho ancora molti brani, in attesa di essere eseguiti nei prossimi concerti…

Apriamo il capitolo curiosità: prima di ogni esibizione, insieme a noi coristi, non può mancare lo “snap”, il rito scaramantico che serve a caricare il gruppo. Da cosa hai preso spunto per crearlo?

Lo “snap” ricorda l’apertura della bocca del coccodrillo, che è sempre pericolosamente aperta e pronta ad azzannare la sua preda. Immaginare di avere, metaforicamente, questo minaccioso animale alle spalle è un modo per tenere sempre alta la concentrazione ed essere sempre molto allertati!

Momenti di panico o figuracce fatte in un concerto?

Devo essere sincero, non ce sono state. A volte è capitato di dover fermare il coro e ridare la prima nota, ma oltre questo nulla più.

Quali sono i tuoi generi musicali preferiti?

Vi svelo che una della mie più grandi passioni musicali, oltre la polifonia, è il progressive anni ’70!

A questo punto dicci la verità: cambieresti la tua carriera di affermato direttore di coro con una da front-man di un famigerato gruppo rock?

Beh, qualche volta ci penso, a volte sono un po’ tentato (ride, ndr)! Ma, in fondo, le soddisfazioni che ho avuto con la direzione di coro hanno per me un valore inestimabile!

Qual è il tuo brano polifonico preferito e quello più affascinante che hai diretto?

Amo moltissimo “Singet dem Herrn” di Bach. Dirigere l’ “Alleluja” di Gallus, poi, è stato uno dei momenti musicali più emozionanti che abbia mai vissuto.

Settore preferito?

Forse… i contralti.

E quello che in concerto ti preoccupa di più?

Direi… i tenori!

Quando ti trovi davanti a un corista, preferisci il “cavallo di razza” o il “ronzino” da educare?

Meglio il ronzino da educare!

Qual è, ad oggi, il tuo sogno più grande?

Non he no uno in particolare. In tutti questi anni ho raggiunto tanti obiettivi e non c’è, al momento, qualcosa che mi rende insoddisfatto e che voglio ottenere a tutti i costi.

Cosa bisognerebbe fare, secondo te, per rendere la coralità più apprezzata in Italia?

Mi piacerebbe venissero realizzate delle trasmissioni, magari radiofoniche, che cercassero di descrivere in maniera divertente il mondo della polifonia. Ci si potrebbe ispirare a tanti format messi a punto dalle radio e dalle tv commerciali: sarebbe bello raccontare Orlando Di Lasso, Giovanni Pierluigi da Palestrina, o Arvo Part in un modo attraente e al passo con la comunicazione dei nostri tempi.