Vi proponiamo, di seguito, un articolo pubblicato su Choraliter, rivista quadrimestrale di Feniarco, sulla presenza di Steve Dobrogosz ai festeggiamenti del nostro Ventennale.

Come ricorderete il 13 ottobre a Roma abbiamo eseguito, oltre alla sua Messa “Jazz”, anche un brano inedito dal titolo “Amen Magna”, di cui potrete leggere un’analisi tecnica del nostro Direttore Fabrizio Barchi.

Se vi siete persi la nostra intervista al compositore Steve Dobrogosz vi rimandiamo all’articolo cliccando qui.

STEVE DOBROGOSZ: AMEN MAGNA

Il mio primo incontro con la musica di Steve Dobrogosz avvenne tra il 1997 e il 1998, quando il Maestro Gary Graden, invitato a Roma dal compianto Maestro Domenico Cieri, tenne dei corsi in cui ci parlò delle opere del musicista statunitense.
Fui subito colpito dall’originalità di Dobrogosz nel trattare il testo liturgico della Messa. Le novità assolute della sua musica erano la freschezza, l’inventiva ritmica, la genialità armonica: nella sua produzione confluivano varietà stilistiche poco usuali nella musica corale, soprattutto il jazz. Nelle opere di Dobrogosz, il pianoforte detta le linee guida di un’armonia contemporanea ma non astrusa, un linguaggio melodico estremamente cantabile, in cui il coro ha una parte rilevante./p>

Nel 2005, insieme al mio coro, il Musicanova, eseguimmo per la prima volta in Italia la sua “Messa” per coro, pianoforte e orchestra d’archi. L’anno successivo la registrammo e il nostro cd, “Whiteinblack”, ebbe un ottimo riscontro, perché la musica di Dobrogosz sa entusiasmare anche chi non ha una specifica preparazione musicale.

Lo scorso anno, per il ventennale del Musicanova, ci siamo fatti due grandi regali: il primo è stato ristudiare la “Messa”, con un organico rinnovato rispetto a quello di 14 anni prima rivivendo le stesse forti emozioni.
Poi, abbiamo invitato Steve Dobrogosz a Roma per festeggiare 20 anni di storia, di vita associativa, di amore per la musica corale. Insieme abbiamo tenuto un concerto ad Atri (Teramo) e un altro a Roma, davanti a un foltissimo pubblico che ha gustato ogni nota delle sue meravigliose creazioni. Per il Maestro è stata la prima performance in assoluto in Italia. Vederlo divertirsi al pianoforte, gioire insieme ai miei ragazzi e ai professori d’orchestra (composta da giovani allievi del Conservatorio di Latina) è stata una vera festa della musica.

Non solo: per i nostri 20 anni, Dobrogosz ha composto un brano per doppio coro e pianoforte, l’“Amen Magna”, che abbiamo eseguito in prima assoluta mondiale.

AMEN MAGNA: ANALISI TECNICA

“Amen Magna” mi è parso fin da subito un pezzo molto stimolante. All’inizio dello studio del brano, però, mi veniva difficile capire l’andamento: c’era infatti un 7/4 che, battendolo a semiminime, non riuscivo a decifrare. In realtà si trattava di un 2/2 + un 6/8.

Anche l’andamento armonico è particolare, con una sequenza iterata del basso in forma di passacagliache si ripete varie volte, dando modo alle voci di entrare gradualmente creando un crescendo di grande effetto.
Nonostante i 4 bemolle, l’armonia, arricchita da accordi che denotano la formazione jazzistica dell’autore, non dichiara subito la sua tonalità vera, Lab Mg, e rimanda l’incontro con la tonica alla dodicesima battuta di questo preludio e con questa linea di basso costruita come nella figura.

Tutto il brano poi si sviluppa in 4/4 con un cantabilissimo tema che si alterna nelle varie voci con varianti e modulazioni; quando il coro agisce a organico pieno, grazie a delle scelte armoniche molto originali, la tensione emotiva diventa massima.

Il brano è un “finto” doppio coro perché, in realtà, le voci si distribuiscono nelle entrate ma la contemporaneità delle 8 voci non c’è praticamente mai, se non nel finale.

Anche nelle estensioni vocali, Dobrogosz non colloca nella maniera tradizionale le voci nella loro tessitura madre: ciò ci ha costretto a rivedere qualcosa per far sì che nella distribuzione delle parti ognuno agisse nella propria corda di appartenenza. Probabilmente, accompagnare spesso voci solistiche nel jazz ha portato l’autore a non porre massima attenzione ai limiti oggettivi del coro classico. Ma a questo ho trovato facile rimedio con una riscrittura delle parti, operazione che l’autore ha molto apprezzato.

Dopo il ritornello il brano modula in LA Mg sempre in 4/4 e qui il climax si fa più intenso. La ripresa del tema in 7/4 fa presagire che si vada verso il finale.

In realtà, vi sono ancora 50 battute in 4/4 che, intensificando le risposte fra le varie voci, creano un’apertura inattesa e molto emozionante.

La scrittura dell’autore, come detto, si rivela spesso inaspettatamente originale. L’impianto è abbastanza tradizionale, tonale. Gli studi “classici” al pianoforte di Dobrogosz sono garanzia di una solidissima preparazione. La commistione con il jazz, però, genera linfa nuova: sembra di essere davanti ad un progressive corale anni ’70 ben strutturato, non affidato al virtuosismo degli strumentisti – come appunto in questo floridissimo periodo – ma ad un’attenta scrittura che detta delle linee guida dalle quali il pianista si allontana temporaneamente per delle godibilissime digressioni.